Durante la prima guerra mondiale furono prodotti moltissimi gas tossici contenenti cloro quali il fosgene, il disforgene, il cloroacetone, le cloroarsine, la cloropicrina e l’ iprite, detto anche gas mostarda. Il 22 aprile 1915, in Belgio, dalle linee tedesche si liberò un fumo giallastro che, spinto dal vento, arrivò fino alle trincee degli anglo-francesi. Alla sera, tra quei soldati, si contarono 5.000 morti e 15.000 intossicati. Quel fumo giallastro era cloro gassoso. Il mondo era entrato nell’ era del cloro.
Una volta terminato il conflltto, le industrie, ormai attrezzate per la produzione del cloro, si preoccuparono di trovare “utilizzi pacifici” per questa pericolosissima e mortale sostanza. Il settore produttivo entrò quindi in una fase di espansione continua, fino ai giorni nostri, quando le conseguenze ambientali dell’ uso indiscriminato del cloro hanno cominciato a manifestarsi e ad essere seriamente indagato.
Più di 90.000 sostanze chimiche di sintesi (cioè NON esistenti in natura) vengono attualmente prodotte nel mondo, ma solamente per circa il 2% del totale sono disponibili sufficienti informazioni che riguardano il loro effetto sulla salute umana. L’ altissima velocità della produzione industriale di nuove sostanze chimiche, non permette che le indagini e le ricerche scientifiche possano stabilire la potenzialità dell’ eventuale impatto negativo sull’ ambiente e sulla salute umana. Per tentare di salvaguardare questi due valori basilari, le varie strategie nazionali ed internazionali hanno finora mirato alle singole sostanze tossiche, cercando di stabilire delle concentrazioni “accettabili” nell’ acqua, aria, cibi, sangue, nel latte materno ecc.
In pratica, questo significa che un certo numero di cittadini morti o gravemente malati, così come elevati livelli di singoli inquinanti tossici dispersi nell’ ambiente, possono essere tollerati sia biologicamente che politicamente.
Questa serie di rapporti non pretendono di dare risposte a tutti gli interrogativi che sorgono quando si parla di attività petrolchimiche, ma è un tentativo di offrire un’ aggregazione di dati e situazioni finora estremamente slegati tra loro, proprio perchè questo modo impreciso e parziale di affrontare i problemi della salute ed ambientali va oggi decisamente combattuto e modificato.
Molte sostanze contenenti cloro (clororganici) si accumulano nei tessuti degli organismi viventi. Vista la loro maggiore solubilità negli oli e nei grassi, piuttosto che nell’ acqua, essi tendono a spostarsi dall’ ambiente verso i tessuti grassi degli organismi viventi. Per esempio la 2,3,7,8-TCDD (tetracolorodibenzo-p-diossina) si accumula nei pesci in concentrazioni 159.000 volte maggiori di quelle riscontrate nell’ ambiente acquatico circostante (USEPA 1988). Questo rapporto è definito il “fattore di bioaccumulazione”.
Gli esseri umani occupano una posizione ai vertici della catena alimentare, risultando i più esposti all’ accumolo dei clororganici. Questi, sebbene nella loro maggioranza possono resistere a qualsiasi tipo di escrezione ed alterazione biochimoca naturale, possono essere eliminati dal corpo umano tramite il sangue, il liquido seminale ed il latte materno.
I composti clororganici sono quindi trasferiti da una generazione all’ altra in dosi probabilmente maggiori. I feti ricevono significative quantità di clororganici attraverso la placenta. Una volta nati essi ne ricevono dosi anche maggiori attraverso il latte materno, perchè queste sostanmze si sono accumulate nel corpo della madre.
Spesso il rilascio di clororganici in ambiente è immediato e diretto. Per esempio, quello derivato dall’ utilizzo dei pesticidi è stato descritto come il caso più lampante di inquinamento “intenzionale”. Soltanto una minuta frazione raggiunge l’ obbiettivo. Il rimanante; in una percentuale superiore al 99% è praticamente gettato via, disperso nell’ ambiente dal vento, dal dilavamento dei suoli, dal percolamento della falda acquifera.
I lavoratori dell’ industria cartaria che utilizza il cloro come sbiancante sono sottoposti ad un aumentato rischio di contrarre tumori al sistema linfatico ed allo stomaco. Almeno 18 studi hanno correlato l’ insorgenza di alcuni tipi di cancro nell’ uomo per l’ uso di acque potabili trattate con il cloro. Uno studio dell’ ormai lontano 1988 aveva rilevato che un gruppo di non fumatori che aveva utilizzato acqua clorata per 50 anni mostrava un tasso di cancro alla vescica superiore di quattro volte rispetto ad un gruppo che controllo dissetato con acqua non clorata. Anche il cancro al colon è stato messo in relazione all’ uso di acqua clorata (Murphy 1990).
Il cloro è una sostanza estremamante reattiva che tende a combinarsi in tempi rapidissimi con il materiale organico e non, con il quale viene a contatto, agendo come un potente ossidante. Anche la sostanza clororganica meno tossica può generare uno dei più formidabili ecocidi ad un certo punto del proprio ciclo di vita.
Come sbiancante il cloro reagisce, distruggendole, con le molecole naturali che causano macchie o colorazioni indesiderate. Come disinfettante esso distrugge i germi ed altri organismi viventi. Noi siamo tra questi ultimi.
Dr. Silvio Colussi MD-TM
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